Dopo essermi diplomato nel 1963 nei tempi supplementari, e dopo una solitaria e parsimoniosa capatina a Pompei di alcuni giorni, ad Ottobre mi iscrissi all’Università di Ancona nella facoltà di Economia e Commercio.
Per un’ora di lezione dovevo stare fuori casa un’intera mattina e molto spesso il Professore non c’era.
“Oggi tiene una lezione all’Università di Venezia… oggi non si è presentato…” Ho sempre dubitato dell’ubiquità dei Professori; sono un po’ come il Padre eterno… sono in ogni luogo.
Alla fine dell’anno accademico avevo rimediato solo due esami: Diritto della Navigazione e Diritto Costituzionale… un risultato ampiamente insoddisfacente.
Nel maggio dell’anno successivo, dietro domanda e relative presentazioni (leggi: raccomandazioni), fui assunto come impiegato straordinario, equivalente all’attuale contratto a tempo determinato, dalla locale Cassa di Risparmio e assegnato alla Filiale di Viserba.
La Banca era ubicata dove è tutt’ora: in faccia al mare; solo l’attraversamento di via Dati la divideva dalla spiaggia.
Il primo giorno, con un certo pudore, mi presentai, in giacca e cravatta, come era d’uso all’epoca e come dovrebbe essere ancora oggi, per il ruolo che si occupa, con la credenziale di accompagnamento, al Direttore, il Signor Zannini, fratello dell’allora Senatore Gino Zannini che fu il mio professore di lettere nei primi anni delle scuole Medie, prima di essere eletto nelle file della D.C.
Non mi era difficile vestire con giacca e cravatta essendo abituato fin dai primi anni delle scuole superiori presso l’Istituto Commerciale per Ragionieri e Geometri “Roberto Valturio” il cui preside, il Professor Remigio Pian, pretendeva dai suoi alunni questo abbigliamento.
Dal sig. Zannini, senza tanti complimenti, fui rimandato a casa a cambiare la camicia perché quella che indossavo era color carta zucchero, non bianca.
Dopo questo primo inconveniente il mio servizio da “bancario” filò dritto per l’intero periodo che terminò il 15 ottobre dello stesso anno con apprezzamento dei colleghi e del Direttore di Filiale. La stagione si concluse con una mangiatona a base di pesce offerto da un albergatore, cliente della Banca.
Mi fu assegnato lo sportello “Corrispondenti” e appunto lì arrivava tutta la corrispondenza delle altre filiali e della Sede Centrale che dovevo smistare ai vari sportelli di competenza.
Non esistevano le moderne diavolerie, tipo computer o ancora meglio internet. Tutto era cartaceo. Nel mio sportello si presentavano clienti che dovevano fare versamenti o altre operazioni che interessavano altre filiali o altre banche del territorio italiano.
Unico strumento era la calcolatrice per quanto riguardava la contabilità e le strisce di battuta dovevano essere conservate per eventuali controlli serali in sede di chiusura giornaliera; e fu necessario in più di una occasione ricorrere a questo controllo. Fui anche, per un certo periodo, assegnato allo sportello del Cambio.
Ebbi occasione di conoscere tanta gente: gli albergatori venivano al mio sportello per versare la “tassa di soggiorno”, il Capo Stazione Titolare di Viserba veniva ogni due giorni a versare gli introiti della “duina”; erano belle cifre perché il treno era il mezzo di trasporto che andava per la maggiore e c’era tanto turismo estero soprattutto tedesco e svizzero.
I treni erano comodi, i collegamenti ferroviari erano diretti, senza necessità di tanti trasbordi e coincidenze. Il signor Casadei, così mi sembra ricordare si chiamasse il Capo Stazione, era un tipo ruspante, un vero romagnolo con una voce forte; quando arrivava calamitava l’attenzione dei presenti.
(Quando divenni Capo Stazione lo ritrovai nei rapporti di lavoro); inizialmente mi metteva soggezione, si presentava con la sua divisa nera indossata impeccabilmente e ornata, nel colletto, dal logo dorato FS, poi la sua bonomia mi rassicurò.
Quando passai per un certo periodo allo sportello del cambio, fu tutto un altro vivere. Gli stranieri si fermavano in banca per cambiare la loro moneta e poiché venivano o andavano in spiaggia erano abbigliati da spiaggia: si coprivano il costume con calzoncini o minigonne, mentre la parte sopra era in bella vista (da non fraintendere: le donne mostravano la parte superiore del costume, si vedevano già i primi bikini e gli uomini in maglietta).
Le giovani straniere erano per la maggioranza tutte alte e avvenenti, quelle più basse arrivavano con il seno giusto all’altezza del bancone; io ventunenne in giacca e cravatta, loro con quel ben di Dio in bella vista e molto spesso appoggiato sul piano di lavoro – non esistevano i vetri divisori, il terrore delle rapine non era presente.
Quelle più in età tendevano alla pinguedine e non mi sembrava potessero essere state, in gioventù, alte e avvenenti. Dove nascondevano i soldi? Nel seno. Lo estraevano e me lo consegnavano caldo caldo per il cambio; a volte era profumato o odorava di olio abbronzante. Vecchi ricordi…
Poiché abitavo a Marina Centro, non lontano dal Grand Hotel, mi recavo al lavoro in bicicletta e sotto il sole, specie nell’orario pomeridiano, arrivavo accaldato. Così, con il primo stipendio, 70mila lire, ci volle tutto, mi comprai un motorino: era un Bianchi Bimatic di colore rosso.
Era uno dei primi ciclomotori che grazie ad un eccentrico cambiava in automatico le marce. Con quello arrivavo fresco al lavoro. Quando rientravo in famiglia (i miei genitori avevano adibito la nostra abitazione, una villetta con due piani più pian terreno, in pensione: la Pensione Quiete Verde e la gestivano direttamente in maniera molto familiare), mi aspettava una brunetta di nome Silvia che mi veniva incontro e con quel suo parlare suadente misto di italiano e francese mi diceva: Guido, mi porti in motoino?
Non potevo dirle di no; un piccolo giretto intorno all’isolato e Silvia era appagata. (Da grande Silvia altro che ciclomotore; si sposterà per Parigi con una moto di grossa cilindrata; chissà se ebbe l’input in quei giorni?)
Silvia aveva due anni o poco più ed era la nipote dei signori Camurri, una famiglia di Carpi che si era stabilita a Parigi dove riforniva i Grandi Magazzini e i negozi “più in” di pregiata e apprezzata maglieria italiana e più precisamente Carpigiana, la stessa che veniva venduta presso il negozio “Le Chic Parisien” del signor Petrucci, in corso d’Augusto a Rimini.
Una famiglia fedelissima della nostra Riviera che ogni anno soggiornava a Rimini, nella nostra pensioncina e che col passa parola ci procurò tanti buonissimi clienti d’oltralpe. Fra le nostre famiglie si creò un rapporto di solida amicizia, estesasi anche ai figli e ai nipoti.
Ci scambiammo spesso reciproche ospitalità. Quando, per motivi strettamente familiari cessammo l’attività alberghiera, i nostri amici soggiornarono presso la pensione “Scarpette Rosse” di fianco alla nostra villetta e quando ci trasferimmo a Miramare, presero soggiorno presso la Pensione Mia a Miramare, dove tutt’ora Marie Gabrielle, la figlia, pressoché nostra coetanea, non manca di trascorrere in ogni estate almeno una settimana di vacanza.
Marie Gabrielle, residente a Livry-Gargan, presso Parigi, è una cara amica di famiglia e un’amica del gruppo “Sei di Rimini se” e ci segue continuamente non mancando di manifestare il suo “Mi Piace”.
Per la sua costante fedeltà a Rimini, trasferita al suo marito Claude, parigino doc e valente cuoco presso il ristorante stellato parigino “Chez Maxim’s”, e alla sua intera famiglia, tanti anni fa fu premiata con un diploma e con la riproduzione di un putto di Agostino di Duccio che fa bella mostra su una colonnina di marmo, nell’ingresso della sua casa.
Nel 1969 in viaggio di nozze fummo ospiti nella loro villetta e nel maggio del 1972 fummo onorati di essere i padrini di battesimo del loro secondo genito.
Tornando alla mia iscrizione all’università: lavorando tutta l’estate l’appello di Maggio saltava; rimaneva quello di Ottobre, ma non ero preparato per affrontarlo. Mi iscrissi anche nell’anno successivo, ma finì nella stessa maniera: lavorai tutta l’estate in Banca, presso il Centro Meccanografico della Cassa di Risparmio (ecco l’utilizzo dei primi calcolatori e memorie elettroniche; non si parla ancora di computer) posto nella Sede Centrale, e niente esami.
Decisi di non far sprecare altre risorse ai miei genitori e assolto l’obbligo del servizio militare cercai una stabile occupazione che mi desse la certezza per creare la mia famiglia. (All’epoca era così; non oggi, purtroppo…)
Guido Pasini