L’altrove

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“L’altrove”
“… O amore in terra lontana, per voi ho malinconia …”
Jaufre Rudel

Le sedie di minio bruciacchiato ricoprivano i tavoli sparsi sull’assìto
sbiadito e sporco del Rock Island; non v’erano molte persone
quella mattina lassù in fondo al molo, un’ombra sinistra s’infilava con
il suo corpo irregolare, adagiandosi sul mare, verdognola e tremolante
simile ad una buccia di limone acerbo, al di là dei frangi flutti intarsiati
di piccole ostriche inumidite dalla marea.

Una figura piccola e bruna giaceva piatta su di un’enorme zolla di
cemento; le onde di stagnola pigramente l’annusavano, sospinte dal
movimento di uno scafo bianchissimo che bordeggiava lambendo la
punta aguzza del molo verso il suo placido approdo, e tracciavano
una profonda ed argentea ferita, che subito dopo si richiudeva d’acqua
calda come latte appena munto.

L’uomo per metà nascosto dall’ombra oblunga e fresca del locale
notturno, canticchiava una nenia modulata e lamentosa che metteva
addosso ad una profonda melanconia.

Erano parole o suoni: non saprei ricordare! Tuttavia quelle frasi
spezzate, quei versi, ora esili come vagiti di bimbo, ora profondi e
lamentosi, avevano il fascino incantato di un paese remoto, un paese
che quelle parole sembravano cercare.

Quale sottile malia, tormentava quella tozza figura di terracotta,
naufraga sulla pesante zattera di calcestruzzo?

Quel canto ritmato, dolcissimo e antico, che vibrava continuo
come una corda di liuto pizzicata dal musicante di corte, poi s’interruppe
ed un buio silenzio inondò il molo, dove molti anziani ammutoliti e con gli occhi acquosi, seguivano lo straniero nell’inquietante
abbandono argentino.

Quei suoni che giungevano di lontano, raccontati dalla voce
remota, parevano irresistibili richiami per la piccola folla attonita,
attratta dall’ammaliante canto: così come la ciurma d’Ulisse, anch’essa
incapace di resistervi… le loro bocche spremute e i loro sguardi
sperduti scurirono improvvisamente nereggiando nell’ombra aguzza
di una vela che tagliò la scena, svelando un nuovo quadro surreale.
Ciò che restava del cantore olivastro, altro non era che una morbida
piuma d’uccello, scesa dal cielo inondato di luce.

Chi era mai l’arcano incantatore, che aveva rapito il nostro essere
con la sua voce velata, sospingendoci oltre i confini dell’altrove?
Racconto e fotografia di Luciano Monti

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