Ecco una poesia dedicata a una tipica figura romagnola: il contadino
Svolgi il più antico tra i mestieri
anche se tale non è considerato,
per secoli, millenni, fino a ieri
interi popoli hai solo tu sfamato.
Della natura amico e compagno,
la trasformi a tuo uso e piacere
ma non per questo tu le rechi danno
pur se ne cogli il mangiare e il bere.
Sono finiti i tempi dell’aringa
appesa al filo sopra la polenta,
quando usavi un cordone come stringa;
almen da noi quell’epoca si è spenta.
le maccine ora fan qualunque cosa,
cogliere, arare, mietere, zappare,
la vita tua è sempre faticosa
ma dovunque è fatica lavorare.
O… quanto tempo hai trascinato tregge
in dirupi scoscesi, in mezzo al fango,
e da bambino tu hai badato al gregge
ché la scuola non era del tuo rango.
Non serve a nulla -diceva il padrone-
che tuo figlio debba andare a studiare,
non ne vedo il motivo, la ragione,
se nella vita lui dovrà zappare!
Tu sei analfabeta ma ugualmente
sai governar le vacche, sai vangare,
sai quand’è ora di gettar la semente,
sai innestare le piante, sai potare.
Allora nacque il detto popolare
le scarpe grosse col cervello fino,
solo le scarpe tu dovevi usare
e rimanere sempre contadino.
Quando che per andar nel ravennate
avesti forza a ribellarti agli avi,
vecchie generazioni rassegnate
sapevi bene quello che lasciavi.
Dicevano i padroni: lo vedrai,
che quando avranno fame torneranno!
da allora questo non successe mai
ed i poderi alla malora vanno.
Se or ritorni a far na passeggiata
di domenica con i nipotini
trovi una bella strada asfaltata
ma non ritrovi più i contadini.
Là, dove un giorno erano i poderi,
rustiche catapecchie, diroccate
c’hanno visto la vita fino a ieri
or dall’erbacce sono avviluppate.
Non s’ode più alcun grido,
nemmeno un cane che abbaia,
le serpi hanno messo il nido
là dove c’era un giorno l’aia.
Dov’è il coltro c’affondava il solco?
il vomere che girava la zolla?
i buoi che incitava il bifolco
e stanchi riportava alla stalla?
Raccogli un umile fiore
e la nostalgia ti coglie,
fu qui che cogliesti l’amore
con lei che ora t’è moglie.
Quando vent’anni fa te ne partisti
il medio evo avevi abbandonato,
ora ti guardi intorno, hai l’occhi tristi,
nemmeno quello hai più ritrovato.
(da: Vita e Lavoro; 1981 Domenico Cappelli)