Quanto tempo aveva ancora da vivere ? Non molto … e poi se quella era vita ! Ora che non aveva più nessuno, si sentiva solo: solo come l’unica rosa del suo giardino imbalsamata dal gelo, che le furiose raffiche di tramontana sminuzzavano ad ogni respiro ghiacciato.
Restava tutto il giorno seduto sulla vecchia sedia di pelle screpolata, a guardare attraverso i vetri della finestra, unti dalle sue dita tiepide e tremanti; quel sottile diaframma che lo divideva dalla vita, raccoglieva le impronte di tutto l’affanno d’esistere di Dante. I suoi anni se n’erano andati proprio in un soffio, lasciandolo con i suoi fantasmi, ombre che nella sera s’impadronivano del suo essere, allora in quel tormento cercava sfogo nella lettura delle sacre scritture, anche se non era un credente, ma la parola di Dio in qualche modo, confortava la sua vecchia anima inferma “… Tu m’hai largito il tempo di una spanna, e la mia vita è un nulla innanzi a Te. Perché uomo non è che un soffio vano: cammina come un’ombra, s’agita vanamente a seminare, né può sapere poi chi mieterà …”
Quelle parole dei SALMI, come responsi alle sue domande, infilzavano la carne dell’anziano, che ora percorreva l’ultimo tratto del suo lungo cammino, socchiuse gli occhi affaticati, e rapito da un sonno profondo s’abbandonò sulla poltrona.
Un brivido nel cielo trasparente scorreva sopra la sua testa non più canuta, attorno al suo giovane corpo di fanciullo la vita palpitava con tutte le sue creature, in un continuo canto alato e la terra bevendo quella luce, soffiava nei suoi teneri germogli una nuova vita. Un fiato profumato sfiorava ogni cosa di quel mondo che si apriva gli occhi incantati di Dante.
I suoi passi ora leggeri sfioravano l’erba molle di rugiada ed in quello sconfinato paesaggio solitario, il suo cammino lo portò in poco tempo davanti ad una collina folta di arbusti profumati; iniziò la salita che pareva non finire mai, ma in un baleno giunse in cima ad essa senza alcuna fatica. Dall’alto dove la vegetazione si spianava, una radura verdeggiante circondava una casetta sbiancata dalla luce soffusa che si spandeva dolcemente tutto intorno, il giovane viaggiatore s’avvicinò: sentiva dentro di se l’abbraccio morbido di quel bianco rifugio ed il suo cuore bruciava nel rivedere la sua infanzia. Tutto era come una volta.
Il tempo pareva non avere cambiato nulla: la sua stanza con l’enorme letto d’ottone contro la parete, con la serena preghiera di Millet appesa, e quella donna dalle membra arse dal sole, con le mani congiunte, pareva sorridergli… poi nel silenzio si spiccò dalla tela annerita, porgendogli la mano color creta ” Vieni Dante, andiamo …”, quella stretta calda lo fece tremare… Sorrise ed insieme sparirono lungo il pendio della collina. Una distesa dorata s’apriva al suo giovane sguardo, i canto degli uccelli riscaldava l’aria che odorava di grano maturo; i suoi passi sfioravano le spighe fitte accarezzate da una tepida bava di vento, e mentre la donna falciava le abbondanti messi, lui saltellava felice tra i fasci di paglia. Nei campi una folla di uomini bruciati dal sole, torcevano sul frumento le falci limate di fresco ed i loro canti poveri s’univano alle voci di donne intente a spigolare; poi quando il sole s’impuntò alto sulle loro teste scottate, lasciarono i loro attrezzi rivolgendo lo sguardo al cielo ed il silenzio della terra generosa, raccolse quella màdida preghiera.
La fronte confusa di Dante si destò dalla profondità del sonno, aveva ancora negli occhi annebbiati quei campi dorati, e in quella donna dalla carnagione scura, rivide sua madre.
Rimase per un attimo a pensare, al suo viaggio lontano. Ora tutto gli pareva diverso, non era più solo, quando strinse di nuovo la mano amica che la madre gli porgeva per sempre.
FINE
Luciano Monti