Elisabeth Rondanini: la bella irlandese che si tuffò nell’Adriatico

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Elisabetta Kenny: questo il suo vero nome.

Nata in Irlanda, nel 1748 a soli diciotto anni viene data in sposa a un nobiluomo di quaranta più vecchio: il Marchese Giuseppe Rondanini, di Roma. Non ne si conosce l’ascendenza né il motivo per cui sia venuta in Italia. Le ipotesi sono varie: una familiare di qualche diplomatico o prelato irlandese alla corte papale, il cui matrimonio viene combinato per ragioni economico-politiche? Oppure, assai più probabilmente, una mademoiselle che, durante il Grand Tour, attraversa la penisola restando magari affascinata dalle opere d’arte collezionate dal Rondinini o, ancora, rimasta abbagliata dalla bellezza di Roma…

Quest’ultima pare una supposizione realistica: nel 1793 – quindi quasi un decennio dopo il matrimonio – la sua padronanza della lingua italiana è ancora incerta: “Appena serve per farmi capire”, dice. E questo fa presupporre che non possa essere arrivata qui molto prima delle nozze, o avrebbe saputo esprimersi sicuramente meglio.

Inoltre, il Geminiani oltre a descriverla come una donna dagli “occhi amorosi e rosse labbra di paradiso”, ne sottolinea l’amore per le arti e il bello, dall’animo gentile e sicuramente dedita allo studio. Una figura che incarna pienamente lo stereotipo romantico nella Roma all’epoca popolata e vissuta da personaggi di rilievo quale Goethe che, nel suo Viaggio in Italia, cita i Rondinini per ben sei volte.

La storia di questa coppia è quasi un cliché: la bella ragazza, giovane e spigliata maritata a un uomo ben piùgrande, spesso dedito più ai piacere della cultura e del collezionismo che a quelli della vita, trascurando le esigenze, fisiche e mentali, della cara consorte.

Elisabeth giunge in Italia dall’Irlanda, ferente di costumi e usi propri del popolo anglosassone. Esuberante, fuori dagli schemi e moderna, quasi un precursore delle straniere che popolano la Romagna dal secondo dopoguerra.

La famiglia Rondanini

I Rondanini, o Rondinini, sono una famiglia di origini romagnole, trapiantata nella capitale.

Potente, nobile, influente… insomma, gente di spicco soggetta per questo ai pettegolezzi i più vari, come accadrà anche con l’ultima famiglia a causa delle bizzarrie di “Liz”.

Noti anche per l’incompiuta Pietà Milangiolesca, acquistata nel 1744, attualmente sita nel Castello Sforzesco di Milano, possiede un palazzo fastoso in via del Corso – oggi proprietà del Monte dei Paschi di Siena – ma anche un posto di rilievo alla corte pontificia.

Si potrebbe definire una famiglia della Roma “bene”, con una finestra sull’alta società internazionale.

Dicono di lei

La giovane Marchesa ha sempre suscitato la curiosità e i pettegolezzi, talvolta anche scandalizzando i suoi contemporanei.

Nessun suddito pontificio, all’epoca, avrebbe mai avuto l’ardire di calarsi in mare! L’acqua salta avrebbe penetrato i pori, inquinando l’organismo e, magari, arruginendo le ossa!

Giusto una nordica avrebbe potuto farlo, specialmente in seguito ai consigli che, nella cultura anglosassone del settecento, i medici dispensavano, ritenendo l’aria e l’acqua di mare benefiche per il corpo e per lo spirito.

Va da sé che, nonostante non ne sia stato fatto il nome, è assai probabile che tale donna fosse proprio Elisabeth, moglie di quel Giuseppe che l’aveva presa in sposa nel 1748 per perpetrare la casata sebbene, alla fine, nessun figlio nacque da quella unione e, anzi, fu lui a sopravviverle.

La Rondanini ha costumi differenti: spregiudicata, bella, esuberante. Capelli rossi, corporatura slanciata, amante delle lettere, delle arti e del bello aveva affascinato e ammaliato mezza città.

Addirittura gli arredi della camera da notte erano noti – e non solo al povero marito e, sentendo le voci, a don Luigi Braschi Onesti. Addirittura gli itinerari della Capitale, di quelli scritti per i viaggiatori, ne facevano menzione:

“fra gli altri quadri, due belle marine di Mr. Vernet;

otto marine di Salvator Rosa;

sei paesi del Pussino, segue un gabinetto ornato di tutti disegni originali frà quali se ne ammira uno di Michelangelo Buonarroti e uno di Giulio Romano;

… il gabinetto di toiletta, è adornato di specchi di varj paesi Fiamminghi e di diversi quadretti del Pussino…”

Tra le memorie di chi ne parla, quelle di Antonio Zacchia Rondinini, un familiare che nel 1942 la cita, purtuttavia senza dovizia di particolari. Non è possibile dedicare troppo spazio, nella storia di una famiglia altolocata come quella dei Rondinini, che ci sia una “straniera” “stramba” e fuori dalle righe.

Di lei, il suo parente riporta pochi dati: nome e cognome, data delle nozze, alcuni frammenti di corrispondenza e poco più, “rubato” da quell’archivio familiare ormai irrecuperabile.

Varie altre le voci che la descrivono o ne raccontano la vita.

Lapidario il riminese Nicola Giangi:

“1790. Rimini, 28 agosto. Oggi è partita di qui la Sig.a Mar. Rondanini di Roma Irlandese stata da 15 giorni per attuffarsi nell’acqua di Mare”.

Ancora, una satira nel Diario di Roma del Geminiani:

“L’Aurora con il vecchio Titone suo consorte

Guida superba il cocchio con man maestra e forte.

Le Grazie l’accompagnano, precedela l’Amore

Invan Titon sacrifica un’ecatombe all’Ore.

Occhi amorosi e rosse labbra di paradiso

Fisionomia dolcissima ornan d’Aurora il viso”.

E poi nel Journal del Conte d’Espinchal – un franscese tra i molti che, in odor di rivoluzione, si è trasferito a Roma diventando un esperto di gossip della corte pontificia -:

La Rondanini, irlandese, scarrozza tutto il giorno insieme a suo marito guidando sempre lei il calesse, non il marito. Ma poi la sera si conforma alla moda del paese adattandosi a sopportare (en soffrant, dice lui) le galanterie del Duca Braschi, nepote del Papa.”

La bellezza straordinaria della marchesa ed i suoi amori non passarono inosservati neppure a David Silvagni, il più importante tra gli storici pettegoli di quel periodo:

“Era proprio una stella di prima grandezza, corteggiata dall’astro che sorgeva in quel momento, il Duca don Luigi Braschi, che malgrado il suo recentissimo matrimonio faceva la sua corte alla bella Rondanini”.

*Luigi Braschi-Onesti, duca di Nemi, neo sposo nonostante l’età (quarant’anni pieni).

Il viaggio a Rimini

Agosto 1970: la Marchesa decide di lasciare l’Urbe e di dirigersi a Rimini: la scelta della città era probabilmente legata a una questione logistica: si trova sulla via tra Roma e Castelbolognese, località in cui la famiglia Rondinini soleva trascorrere le vacanze. Inoltre, a Rimini, rinchiusa nel convento delle Celibate, viveva la potentissima donna Olimpia: sorella del Papa Pio IV e zia dello spasimante di Elisabeth, don Luigi il quale, a sua volta, aveva degli interessi a Cesena, poco distante.

Fatto sta che il bagno della bella ragazza non è un episodio una tantum, dovuto alla canicola: con lo scopo di trascorrere quindici giorni da dedicare alle bagnature.

Nuovamente, anche questo diviene oggetto di chiacchiere nei salotti financo di giudizi severi: “spregiudicata”, la definiscono. Eppure solo un anno prima il Re Giorgio III d’Inghilterra, sovrano della Rondinini, aveva varato una lunga serie di “bagni”, arrischiandosi a nuotare nelle acque di Brighton sulle note di “God Save great George our King” che la banda musicale aveva intonato nascosta, trainata da cavalli.

Gli spasimanti

Uno o forse più. Certamente, di don Luigi se n’è avuta contezza, come roportato dal massimo esponente dei pettegolezzi storici: David Silvagni.

“Era proprio una stella di prima grandezza, corteggiata dall’astro che sorgeva in quel momento, il Duca don Luigi Braschi, che malgrado il suo recentissimo matrimonio faceva la sua corte alla bella Rondanini”.

Non solo uomini altolocati, ma pare che la marchesa intrattenga anche, per anni, un intenso rapporto con Camillo Zacchia, allora ventiquattrenne, giovane cavalier servente ammesso a palazzo e al quale, nel 1793, scrive: “Se volete un comando, sarebbe del mio genio che faceste venire da Genova dei fiori rari….”

La malattia e la morte

Il 22 marzo del 1975 Elisabeth, intrattenendo una conversazione epistolare con un suo amante – il giovin Camillo – gli scrive da Castel Bolognese:

“Sono incommodata da un fiero raffreddore e credo di dovermi levar sangue… Amico perdonatemi, sono indisposta, non posso dirvi altro”.

Purtroppo, come quasi da tradizione in quel periodo, anche la Marchesa non è stata risparmiata da una comune e terribile malattia: la tisi, che se la porta via in quel di Napoli, ove era giunta per curarsi con il clima caldo del golfo.

Chiuderà i suoi “occhi amorosi” appena trentaduenne, l’anno successivo – nel 1976 -.

All’ingresso del convento vicino alla chiesa di Sant’Onofrio al Gianicolo il suo monumento funebre: nel passaggio verso il chiostro, si rinviene anche quello di suo marito.

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