I velocipedisti

Ricerca aziende, ristoranti, professioni e spiagge in Romagna

La città di Rimini, alla fine del 1800, nei mesi estivi divenne la meta dei primi vacanzieri che con lungimiranza avevano previsto il suo sviluppo turistico. Molti di essi acquistarono a buon mercato lotti di terreno, per lo più paludoso, sulla riva del mare e vi costruirono ville nelle quali trascorrevano il periodo estivo.

La circolazione stradale, soprattutto d’estate, si presentava caotica e la municipalità si trovò ad affrontare questo nuovo problema. I vacanzieri con le prime auto, il tram a cavalli che collegava la città con la marina, il passaggio di carri e carretti, le carrozzelle, gli animali e buon ultimi i “velocipedisti”, creavano un grande problema che il comune dovette regolarizzare.

Il nodo più grosso era la circolazione indisciplinata e senza controllo delle biciclette che provocava incidenti a volte anche gravi.
La circolazione delle due ruote sollevò varie polemiche e prese di posizione di molti cittadini e della stampa locale; si lamentava l’eccessiva velocità dei “biciclettisti”, chiamati da alcuni anche “velocipedisti” e il non utilizzo del campanello soprattutto negli angoli delle vie per segnalare la loro presenza. Erano frequenti capitomboli, scontri con pedoni e animali con esiti a volte anche gravi.

La cittadinanza si divise in due fazioni: quella più intransigente pretendeva che le biciclette percorressero solo le vie con meno traffico escludendo quindi il Corso d’Augusto, via Garibaldi, viale Principe Amedeo e il Piazzale dello Stabilimento dei Bagni e che la velocità non fosse superiore a quella “del passo accelerato di un uomo”.

L’altra fazione, più permissiva chiedeva che la circolazione delle biciclette fosse permessa in tutte le vie della città e che i ciclisti fossero provvisti di opportuna licenza di idoneità (patente) e circolassero a velocità moderata e che fosse utilizzato il “campanello a suono continuo”.

Il Municipio abbracciò la seconda fazione proibendo il divieto di circolazione sui marciapiedi, sotto i portici, nei giardini pubblici e nei viali riservati ai pedoni (del resto è il comportamento che ogni buon ciclista dovrebbe adottare anche ai nostri giorni).

Ed ecco che spunta l’occasione, per il Municipio di fare cassa: imporre una tassa sulle biciclette. I Comuni, come anche oggi, da sempre piangono miseria e si appigliano a qualsiasi necessità cittadina. Passano i secoli ma nulla è cambiato. Oggi non ci tassano l’aria forse solo perché non c’è contatore capace di misurarne il consumo.

Il Municipio applicò una tassa comunale di circolazione e l’obbligo di dotarsi di patentino che attestava l’idoneità alla guida.
Nel 1896 la Municipalità Riminese era.. “già avanti”.

La foto presa dall’archivio comunale: Guardie urbane con biciclette.

Guido Pasini

Potrebbero interessarti:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna su
acque salate banner