Le urla, il terrore, il panico dilagante in quella che sembrava una piccola oasi di felicità: la Romagna. Un’area a sé stante, che tutti noi amiamo incondizionatamente e, come dice Secondo Casadei, “Romagna, Romagna mia, lontan da te, non si può star”. Un luogo ridente che, però, ha un passato recente più torbido e tetro di quanto non si possa immaginare.
E’ la storia di 3 fratelli apparentemente come tanti altri; eppure è la storia di una pazzia senza senso: “Dietro la Uno bianca c’è soltanto la targa, i fanali e il paraurti. Basta. Non c’è nient’altro.”
Queste parole, pronunciate da Fabio Savi durante il processo, riecheggiano nel cuore ferito di chi, quel periodo, l’ha vissuto. Era il 1987 e una banda di delinquenti inizia la sua “avventura” con delle “semplici” rapine ai caselli autostradali. Erano i primi accenni di una lucida follia omicida, di dominazione del prossimo e manie di onnipotenza.
Alla fine di quell’anno arrivò la prima di 23 anime prese con violenza e rabbia: il sovraintendente Antonino Mosca venne ferito mortalmente (anche se avverrà successivamente), reo di aver fatto solo il proprio dovere e aver intralciato il tentativo di estorsione da parte di questi malviventi nei confronti di Savino Grossi, autorivenditore.
Scattò la molla.
L’organizzazione curata in ogni minimo particolare, l’attenzione a ogni dettaglio, il sangue freddo: questi i tratti iniziali di questo nucleo di criminali che piano piano iniziò a seminare il panico per tutta la Romagna.
Sembravano fantasmi: arrivavano, colpivano e se c’era bisogno, uccidevano. Come in quel freddo 20 Febbraio del 1988: anche in questo caso la vittima (Caro Beccari – guardia giurata) era colpevole solo di essere al posto sbagliato, al momento sbagliato.
La follia galoppa…
1991: l’apice della scalata verso il delirio. E’ l’anno della strage del Pilastro. Due carabinieri uccisi senza un vero motivo apparente (li avevano semplicemente superati e, si presume, che la banda interpretò questo gesto come un tentativo di registrare le targhe).
Non sono più una banda di delinquenti: è un’aggregazione di serial killer che si muove nell’ombra con spietatezza e senza il benché minimo rispetto per la vita ne di qualsiasi valore.
Infatti erano poliziotti. Erano due di loro. Il terrore dura altri 3 anni con un bilancio impietoso: 23 morti complessive.
A incastrare i fratelli Savi fu il prezioso e minuzioso lavoro dell’ispettore Baglioni e del sovraintendente Costanza che ebbero la geniale, triste, impensabile intuizione: “sono dentro le forze armate”. Ora bastava solo attendere un passo falso: arrivò il 3 Novembre 1994, quando Fabio Savi, proprio lui, diede troppo nell’occhio nel effettuare un sopralluogo di una banca, individuata come vittima per il colpo successivo e proprio dove erano appostati i due.
Il resto è storia nota.
Il giardino della memoria, in via Circonvallazione Ovest, poco prima della rotonda di Castel Sismondo procedendo verso Nord, è li a ricordarci questo dolore, questa follia.
Non i sono spiegazioni razionali. Ma è importante non dimenticare per dare nuova vita a questi 23 compagni. Proprio per questo nel giardino sono stati piantati 23 mandorli, albero dal forte significato che indica la rinascita nel linguaggio floreale (è uno dei primi alberi a rifiorire dopo l’inverno).
Einstein disse: “Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi”
Lungimirante fuori dal ordinario. Fuori da ogni logica immaginazione.
La Rimini Nascosta