IL KURSAAL era un edificio maestoso e di grande fattura edile. Rappresentava l’arte Liberty italiana del 1870 su progetto dell’ing, Gaetano Urbani.
Uno stabilimento balneare considerato il cuore mondano delle vacanze riminesi. Esisteva la sala di cure, ma anche uno spazio per teatro, per le danze e per il gioco d’azzardo. Durante la sera la sala da ballo ed il ristorante si riempivano di dame , cavalieri aristocratici e personaggi politici. Ai fianchi dell’edificio, si ergevano due palazzi con stanze da affittare ai forestieri.
Una grande ed ariosa scalinata portava all’atrio dove sovente si tenevano convegni e riunioni. Al primo piano si apriva una magnifica e decorata sala per gli incontri , la biblioteca e la sala da lettura. Un lungo pontile di tavole collegava la struttura al bagno e terminava in una grande piattaforma di 600 m2 dove si ergeva una splendida “pagoda cinese”, bomboniera Liberty riminese.
Uno dei pochi edifici storici scampati ai bombardamenti, fu fatto abbattere perché rappresentava il simbolo della borghesia fascista che si voleva dimenticare. L’abbattimento venne giustificato dalla necessità di dare lavoro a maestranze disoccupate.
Dopo la fine della guerra, l’allora sindaco Cesare Bianchini, pressato dalla giunta comunale e dalla Cassa di Risparmio, incaricò gli architetti Melchiorre Bega e Giuseppe Vaccaro (che nel 1931 aveva progettato la casa del Fascio) di realizzare un piano per la ricostruzione della Marina.
Tale progetto, che fu approvato dal consiglio comunale il 25 febbraio 1947, prevedeva la realizzazione da parte della società Rema (Ricostruzioni Edilizie Marina Adriatica) di un grande albergo, un centro commerciale, un teatro all’aperto, un padiglione fieristico, un circolo del tennis e una pista da pattinaggio. In cambio il comune avrebbe alienato le aree di sua proprietà sul lungomare, dal piazzale del Kursaal al torrente Ausa, per circa 20 mila metri quadrati, metà a titolo gratuito e l’altra metà al prezzo scontato del 50% rispetto a quello di mercato.
Il progetto non comprendeva il Kursaal, considerato architettonicamente non in sintonia con gli edifici da realizzare, e al cui posto era prevista un’area attrezzata a giardini.
Approvato il progetto, si aprì un dibattito su cosa fare del Kursaal, danneggiato internamente dai tedeschi e poi dagli alleati, ma sostanzialmente intatto.
Il comune, sindaco in testa, appoggiava la tesi dell’abbattimento: “una bruttura che è d’uopo eliminare”, che impediva la vista del mare. Il suo restauro, quantificato in circa 7 milioni, sarebbe stato inutile; meglio spendere quei soldi in case popolari.
Non mancava chi vedeva nel Kursaal il simbolo dei fasti del passato regime, della borghesia che aveva tenuto il popolo fuori dai suoi divertimenti esclusivi.
C’erano anche voci di dissenso, come quella di Gino Paglierani, presidente dell’Azienda di soggiorno, che sosteneva invece il restauro.
Successe però che prima dalla decisione esecutiva della giunta comunale, alcuni gruppi di disoccupati iniziarono a picconare il Kursaal per recuperare materiale edilizio.
Poi il 13 marzo 1948 fu dato inizio al vero e proprio smantellamento.
Antonella Sangermano