L’Azdora romagnola – la regina della casa

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Donna di casa, cuoca, governatrice, icona della Romagna al pari di bagnino, piadina e cappelletti!

Tutti, in Romagna, la conoscono. E per chi non ne avesse contezza, basterà leggere questo articolo per scoprire una figura affascinante e indispensabile.

Al giorno d’oggi è un’icona, più un ricordo che una persona in carne e ossa, e questo per l’evoluzione e i cambiamenti della condizione femminile sia nella famiglia che nella società. Tuttavia, è ancora possibile scorgerne alcune qua e là, ben conservate tra le famiglie di Romagna.

Infatti i più anziani la ricordano ancora, avendo beneficiato della sua presenza e vedendola all’opera…

… e, a guardarla, sembrerebbe uscita da una pellicola di Fellini.

Azdora: significato

La reggitora. Ma anche la regina della cucina e del focolare domestico.

È la trasposizione femminile del termine azdôr che, nel vocabolario romagnolo-italiano di Libero Ercolani ed. Monte di Ravenna, viene definito reggitore. Colui che dirige gli affari della famiglia e i lavori dei campi.

Il suo ruolo, fondamentale, è meno “fatato” di come appaia poiché questa “capofamiglia” aveva diversi compiti, che spesso comportavano altrettanti sacrifici. Pensiamo solo al numero dei componenti della famiglia. Non solo parti ricorrenti, ma anche accudimento in toto di figli, marito, spesso ascendenti e chiunque entrasse nella cerchia di queste famiglie allargate.

Nella definizione di azdora si utilizzano vocaboli quali: “presiede”, “governo” a indicare che la donna romagnola non aveva il solo compito di “fare i mestieri in casa”, ma anche di governare e presiedere gli stessi. Un pilone del focolare, insomma.

Ed è sempre da lei che deriva l’uso dell’articolo davanti a un nome proprio femminile. Una italianizzazione moderna di un’usanza antica che indicava l’azdora. In fondo, la cultura, la tradizione e la storia di un popolo passano anche attraverso parole, espressioni e locuzioni!

Non tutte, però, potevano restare in casa. Alcune erano costrette anche a lavorare nei campi e, a riprova dell’importanza di queste donne in casa che erano insostituibili, fu coniato anche un detto:

Quand che l’azdôra la va ala campâgna la perd piò che la ‘n guadâgna (quando l’azdora va in campagna perde di più di ciò che guadagna)

Se l’uomo portava il denaro a casa, era la donna a tenere i conti spendendolo sapientemente al mercato e centellinando i centesimi per reperire quanti più beni possibili. E poi, solo lei poteva e sapeva scegliere quanto di più idoneo per le sue preparazioni atte a sfamare bocche fameliche!

Tuttavia, ella resta un simbolo di operosità!

Che solitamente manifestava in cucina, col suo fedele compagno  (il mattarello) con cui preparare il piatto cardine della cucina romagnola: la pasta (minestra, come si dice da noi).

Da non confondersi l’azdora con la sfoglina, anche se spesso le due coincidevano.

Sfoglia fatta con le uova o senza (la cosiddetta “matta) proprio perché la società rurale era povera e spesso versava in condizioni misere (economiche e, di conseguenza, alimentari). L’intento era quindi preparare una sfoglia il più possibile “rugosa”, che trattenesse il più possibile il condimento e rendesse più saporito il piatto.

Chissà se c’è un’altra regione così ricca di formati, come la nostra! (Che, volendo ricomprendere per un momento anche l’Emilia, vanta davvero una varietà vastissima).

Per esempio: tortelli, cappelletti, ravioli, garganelli, passatelli, tagliatelle, tagliolini, strozzapreti, zuppe, gnocchi e gnocchetti… ma senza dimenticare le tipologie ormai antiche, spesso difficili da reperire nei locali quali bigul (bigoli), curzul (letteralmente “lacci da scarpe”: pasta quaresimale composta solo di acqua e farina, ottimi con il sugo di scalogno), giugétt (giogetti), ingannapoveretti, malfattini, maltagliati, orecchioni, strichétt (nastrini) e scrichètt, qudrelli, spoja lorda (minestra “sporca” di raveggiolo, il formaggio che rimaneva dal ripieno dei cappelletti o dei tortelli), sbrofabérba, tajadlòtt (tra le minestre più povere del periodo estivo), voltagabàna, zavardòn.

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