Madonna dell’acqua nel Tempio Malatestiano

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Anche questa è storia (nel 1800, nel Riminese… e non solo)

La Ghianda è il frutto della quercia e della rovere. E’ un frutto particolarmente simpatico con quella forma ovata e con il cappellino a scodella. E’ l’alimento naturale di molti animali: uccelli (piccioni, ghiandaie, picchi), mammiferi di piccola, media e grande taglia (topi, scoiattoli, cinghiali, orsi e cervi). Il cibarsi di questo frutto da parte di questi animali, la cosiddetta cacciagione, dà alla loro carne quel caratteristico afrore di selvatico-amarognolo che si attenua con la lunga frollatura.

L’uomo la include, miscelata ad altre sostanze, nella dieta dei maiali.

C’è stato un periodo che in Romagna e non solo, era entrata per necessità e con prepotenza nella dieta umana. Il secolo XIX (1800) aveva ereditato la carestia del secolo precedente aggravato dalle continue scorrerie ad opera delle soldataglie frano-cisalpine e austro-pontificie che si avvicendavano nei nostri territori e che impoverivano le campagne arraffando ai contadini quel poco che possedevano, depredandoli del bestiame e di quanto avevano raccolto dal duro lavoro dei campi.

Il nuovo secolo aveva esordito con freddo e gelate, i mesi si erano succeduti piovosi con violente tempeste e grandinate. I Riminesi chiedevano l’aiuto al cielo con ripetute processioni della Beata Vergine degli Afflitti (seconda metà del ‘500) chiamata dal popolo la Madonna dell’acqua (la statuina di alabastro di circa 40 cm. di altezza con incerte origini (per gli storici moderni di fattura tedesca, per gli storici più antichi di fattura francese), rappresentante una Pietà, che si può vedere entrando nel Tempio Malatestiano nella prima cappellina a sinistra chiamata Cappella della Pietà; la stessa veniva pregata e portata in processione in caso di lunghi periodi di siccità).

Dichiarata dal cardinale Carlo Borromeo (poi S. Carlo Borromeo), che la visitò nel 1563, statuina miracolosa, si rivelò tale con tantissimi miracoli operati dal 1584 fino agli anni dell’800 e incoronata dal Papa Pio VII che ne ha decretò la Festa dell’Incoronazione l’8 maggio con indulgenze a chi la visitasse.

I prezzi del grano e del granoturco avevano raggiunti prezzi spropositati, così come il vino. Con bandi cittadini si invitava ad affrontare la carestia dovuta alla mancanza delle granaglie – elementi imprescindibili nell’alimentazione del popolino e dei contadini- ricorrendo alla farina ottenuta dalle ghiande che si trovavano in abbondanza nei campi e nei vicini boschi.

Ma la farina ottenuta era molto amara, perciò il ricercatore e studioso riminese Michele Rosa pubblicò, per ordine del Governo, l’opuscolo “Metodo facile e non dispendioso di conservare e ridurre la ghianda ad uso di cibo umano”, seguito da un altro opuscolo “Della ghianda e della quercia” con indicazioni relative alla scelta della migliore ghianda, alla sua raccolta e conservazione, alla riduzione in farina, alla setacciatura, all’impasto con altre farine, alla lievitazione con lievito di frumento misto a miele e aceto, alla preparazione di forme di pane, alla loro cottura.

Non dimenticando, come Romagnoli e Riminesi, la piadina detta “il pane estemporaneo dei contadini” e per renderla più saporita consigliava l’aggiunta di semi di finocchio. Nelle classi meno abbienti, tostate sono state utilizzate come succedaneo del caffè.

Come asserito dal filosofo e storico Gian Battista Vico (1668/1744) nella “Teoria dei corsi e ricorsi storici” che alcuni accadimenti si ripetono anche a distanza di qualche tempo, oggi le cucine vegana e macrobiotica hanno riabilitato l’utilizzo di tale frutto come paté e budino, certamente non a causa di carestie, ma per la moda del momento.

La ghianda è estremamente energetica, è un ricostituente naturale ricca di vitamine, ricca in potassio, rame e manganese. Purtroppo è fortemente tannica; si riduce il tasso tannico immergendola in acqua corrente e con la bollitura.

Ecco raccontata la RIMINI AFFAMATA che contendeva le ghiande ai porci.

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Ph: sorpresa.sm

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