Rimini: 1 Novembre 1943

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Il 1° novembre 1943 Rimini subì il primo bombardamento da parte degli alleati che colpì la ferrovia, la zona della stazione, via Roma e la marina provocando 92 morti e 142 feriti, – ne seguiranno altri 395 che ridussero la città in un ammasso di rovine con la distruzione dell’82% degli edifici; a fine conflitto si contarono oltre 5mila vittime fra civili e militari ed altrettanti fra feriti, mutilati o dispersi. (cifre pronunciate dal Senatore Prof. Luigi Silvestrini in occasione del conferimento alla città della medaglia d’oro al valor civile il 1° settembre 1962)

Di questo primo bombardamento voglio proporvi il racconto di un amico, Danilo Camurri che oggi non è più fra noi, e che all’epoca non aveva ancora festeggiato il 13° anno, mentre la sorella Maria Gabriella aveva solo 3 anni. La famiglia Camurri, originaria di Carpi, ma per motivi di lavoro residente a Parigi, era fuggita dalla Francia, in seguito agli avvenimenti bellici ed era arrivata in Italia e precisamente a Rimini con l’amica famiglia Petrucci pensando di essere risparmiata dalla guerra. Nessuno pensava che Rimini fosse un bersaglio dell’aviazione alleata; i continui allarmi aerei si erano rivelati tutti falsi e ciò induceva i cittadini a non dare troppo peso a questi segnali di allarme. Ed ecco il racconto di Danilo, tratto dal suo (inedito) “L’epopea di Roncofreddo – 1943-44: un anno fra cronaca e storia” scritto in francese e tradotto da Isabella Milanese.

…(Omissis)…..< Il 1° novembre Rimini si vede infliggere il suo primo bombardamento. Gli aerei si presentano sulla città venendo dal mare, e la bombardano da Est ad Ovest tracciando una lunga diagonale sanguinante come uno sfregio. I primi grappoli di bombe finiscono sulla riva del mare sollevando enormi getti d’acqua verde. Quelli successivi sfondano la cupola dell’albergo “Villa Rosa” poi, cadendo lungo il viale Trento-Trieste, vanno a demolire qualche villa addormentata tra i fiori autunnali. La seconda ondata di bombe, dopo aver mancato la stazione ferroviaria ma preso in pieno l’ospedale “Croce Verde” su Corso Umberto, finisce nel Marecchia schizzando di fango nero il ponte di Tiberio. Se la casa dei nostri inquilini recalcitranti, che si affaccia sul ponte romano, è risparmiata, >
(la famiglia Camurri aveva acquistato una casa in via Bastioni Settentrionali, la prima venendo dal Corso d’Augusto, proprio con vista sul ponte di Tiberio e, non occupandola l’aveva affittata ed ora l’inquilino non voleva lasciarla)

< in compenso una scheggia grossa come un’arancia viene a colpire il portone della villa di periferia nella quale siamo andati ad abitare da ottobre dopo aver finalmente lasciato l’albergo “Commercio”. La scheggia, lucente come un lingotto d’argento, strappa alla toilette mattutina mia madre che, quel giorno, festeggia il suo 33esimo compleanno. Il suo primo e solo pensiero è per sua figlia, forse anche per suo figlio che in quel momento si trovano in centro ad acquistare una torta per festeggiare la ricorrenza. L’allarme sorprende mia sorella e me nel bel mezzo di piazza Cavour. Il campanile dell’Arengo non ha ancora suonato i dodici colpi del mezzogiorno ed il tempo è bellissimo. I contadini, vestiti a festa, seduti attorno alla fontana, si sono appena accomodati, quando le sirene prendono a suonare. Siamo ormai abituati a questo suono quasi quotidiano e fino a quel momento inoffensivo. Via Massimo d’Azeglio è una piccola strada in lieve pendenza che conduce da piazza Cavour fino ai bastioni Malatestiani che cingono la città a nord ovest. Il fondo stradale è lastricato di grosse pietre tagliate a punta di diamante incastonate nella terra battuta e, all’improvviso, vedo queste pietre ruzzolare sotto i miei piedi come palle da biliardo. “La terra trema!“ urla la Mariuccia, una ragazza che mia madre ha invitato al suo pranzo di compleanno e che a piazza Cavour ha voluto pagare il dolce che avevamo appena acquistato. Sì, la terra trema, e l’ipotesi di un terremoto ci sembra del tutto plausibile dal momento che non sentiamo alcun rumore. Non ci sono che quei sussulti del suolo che ci fanno perdere l’equilibrio. La mia prima mossa è di prendere per mano mia sorella per proseguire, costi quel che costi, per la nostra strada. Ma la Mariuccia da quell’orecchio non ci sente e ci sospinge di forza dentro il primo portone che incontriamo. Ci troviamo così in una vasta cucina, al cospetto del più sorprendente degli spettacoli: una dozzina di donne, giovani e anziane, folli di terrore, si tengono per mano muovendosi in cerchio oscillando come un antico coro e calpestando il pavimento come nell’Hora ebraica: due passi da un lato, un passo indietro, due passi dall’altro lato, un passo in avanti e così di seguito, con una cadenza regolare come quella di un metronomo. E il movimento è accompagnato da una cantilena instancabilmente ripetuta: “Stiamo tutti per morire! Stiamo tutti per morire!” Appena entrata la Mariuccia si inserisce subito tra le donne disposte in cerchio, senza nemmeno un passo falso, senza nemmeno una nota stonata. Sbalorditi mia sorella ed io contempliamo quella danza insensata, divisi tra la voglia di ridere e quella di piangere. Il riso ha la meglio, il riso sano e genuino dei bambini che sanno d’istinto che sopravviveranno. Esorcizzata dalla nostra risata, la terra smette infine di tremare. E rido di nuovo quando vedo arrivare mia madre, livida e mezza svestita che ci corre incontro dai bastioni. Tutto divertito le porgo la torta da cui sta sgocciolando fuori la crema e, per tutta ricompensa, lei mi appioppa due sonori schiaffoni. Intorno a noi la città ferita ronza come un alveare capovolto. Il giorno dopo il bombardamento, incomincia l’esodo verso le alture dell’entroterra……>

Dopo il bombardamento del 26 Novembre, Alfredo Petrucci con la moglie Rosetta e Bortolo Camurri con la moglie Elsa, decidono di tornare a Rimini, da Roncofreddo dove erano sfollati, per constatare i danni alle loro case e vengono sorpresi da un’altra incursione aerea che vista da Roncofreddo, viene così raccontata da Danilo.

…………(omissis)…< Quel 28 novembre >
(forse Danilo nel suo racconto fatto a tanti anni di distanza dagli avvenimenti confonde il giorno posticipandolo di un giorno, infatti le cronache ufficiali parlano di bombardamenti del 26 e 27 novembre – ma nulla toglie alla fluidità della narrazione)

(Omissis)……Solo a tarda sera, sconvolti, lividi, spettinati, con gli occhi dilatati dal terrore, i quattro rientrano a Roncofreddo.
Il racconto è opera di Danilo Camurri, avvocato del foro di Parigi e Magistrato della città di Marsiglia. Ha abitato nella sua seconda professione a La Ciotat, la cui stazione con “l’arrivo del treno” è stata immortalata in una delle prime pellicole girate dai Fratelli Lumiére, e nella stessa casa dei Lumiére. E’ il fratello maggiore di Marie Gabrielle Marcetteau (nata Camurri) che è una delle tante amiche virtuali del Gruppo “Sei di Rimini se” e che è citata più volte nel racconto sopra riportato.

 

Guido Pasini

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