Popolo delle due ruote, vi è mai capitato di vivere in una sorta di “limbo” sentimentale per le vostre moto? Mi spiego meglio. Dopo lunghe, lunghe, lunghissime ricerche e tante considerazioni, abbiamo ceduto la nostra amata Aprilia Tuono, per acquistare la nuova Honda Africa Twin.
Non abbiamo vinto al superenalotto, semplicemente ci siamo imbattuti in un numero spropositato di moto usate, che costavano come una nuova. A quel punto si fa due più due e si sceglie il nuovo. Detto ciò, il mio posizionamento nel limbo, dipende dal dolore per la perdita di Tuono, da una parte (piangere per una moto si può…), e la gioia immensa per l’arrivo della nostra Africa Twin, dall’altra.
Tra parentesi, da ora in avanti la chiamerò A.T., per abbreviare i tempi.
Alla domanda che in molti ci hanno fatto, sul perché di questo cambio, risponderò con sincerità: Tuono lo abbiamo amato davvero, ma quanto a comodità e consumi, ci stava prosciugando.
Diciamo che, se un castello medievale che produce cigolii sinistri è affascinante, due adulti trentacinquenni che, scendendo da una moto, producono gli stessi cigolii, sono obiettivamente fonte di pena, preoccupazione per l’imminente rottura e, forse, anche di derisione. Quando si dice: “dipende dai punti di vista”… ecco, forse questa metafora spiega il detto!
Tuono non è una delle moto più scomode della sua categoria, siamo onesti, ma è impensabile valutare viaggi lunghi, sia per posizione che per consumi. Ciò non toglie che abbiamo trascorso insieme quattro anni e mezzo di grande gioia. Gli ho dedicato anche un articolo sul blog, che non ho più potuto rileggere, causa pianto irrefrenabile e, a questo punto, mi fermerei anche qui, altrimenti riprende la cascata.
Passando ad A.T., siamo molto contenti della prima, ottima impressione che ci ha fatto: in effetti, appena ritirata dal concessionario, l’abbiamo battezzata laddove sono state battezzate tutte le nostre moto: al Valico di Viamaggio.
Credo sia un’usanza benaugurante e molto romagnola. Se state per dirmi che non è così, vi avviso che, in questo momento, siete davanti a una ragazza sensibilissima per l’avvenuta perdita e, che vi piaccia o no, non c’è diritto di replica! Siate accomodanti!
Altra sosta obbligata, in realtà tappa che facciamo ogni anno quando inizia la stagione delle due ruote, per noi, è stata Coriano, per portare un personalissimo saluto a Marco Simoncelli, di cui mio marito era grandissimo tifoso.
Ma, visto che non siamo qui per pulire i moscerini dalla carena, direi di arrivare al punto fondamentale di questo testo, ossia la proposta di itinerario in Romagna, ormai conosciuto, quando si tratta di me, come di “maltrattamento di motociclisti”.
Oggi, cari centauri, vi propongo una rilassante passeggiata in collina, nella provincia di Forlì-Cesena, per andare alla scoperta dei borghi di Montetiffi e San Giovanni in Galilea in quanto, che ci crediate o meno, sono posticini davvero ameni e imperdibili.
La strada dopo Santarcangelo di Romagna, si apre sui campi coltivati e sui panorami della Valmarecchia; seguendo le indicazioni per Ponte Uso, poi, si passa a ridosso della Rocca di Montebello e della Rocca di Torriana, splendidamente visibili nel loro profilo meno conosciuto.
Siamo onesti, tutti noi abbiamo l’abitudine di ammirarle dalla Via Marecchiese ma, anche nella loro facciata a ridosso della Provincia di Forlì-Cesena, sono molto accattivanti. Raggiungere Montetiffi è… panoramico.
Non tanto per la strada, che comunque è piacevole, ma per gli affacci grandiosi di cui si gode da questo balcone architettonico. Il borgo è davvero piccolo, ma molto piacevole, perlopiù disposto su un unico vicoletto in salita, che porta al cospetto dell’Abbazia Benedettina di San Leonardo, purtroppo chiusa.
Ciò su cui vale la pena di soffermarsi, sono questi quadri prospettici eccelsi, sulle vallate circostanti, con cui si può spaziare fino alla Rocca di Verucchio e al Forte di San Leo, ma anche sull’area opposta, quella verso Perticara e Talamello. Nelle giornate terse, avrete a disposizione un tripudio di colori e paesaggi mozzafiato.
Altra cosa che colpisce, è la calma sonnolenta e la cortesia di questo paesello, in cui siamo stati piacevolmente accolti dal gestore di una pittoresca locanda, che non solo ci ha permesso di entrare, per ammirare il panorama dal terrazzo della struttura, ma ci ha anche spiegato di come, tutti i cittadini, stiano spingendo con l’amministrazione comunale, per trovare una soluzione all’apertura definitiva dell’Abbazia.
In effetti se ne occupano due anziani signori del paese i quali, obiettivamente, non possono far fronte a questo impegno e, anche noi, insieme alla cittadinanza, ci auguriamo che presto l’Abbazia, venga riaperta ai visitatori e ai pellegrini.
Montetiffi è anche nota per le teglie in argilla, famose in Romagna, sulle quali è possibile cuocere la nostra buonissima piadina: è un manufatto davvero antico, questo, la cui produzione è documentata dal XVI secolo! Allora, i tegliai, scendevano dalla Rupe dell’Archetta, per vendere il loro prodotto nei pressi del ponte medievale.
Quando risalite in moto, vi consiglio di seguire nuovamente la strada percorsa all’andata, ossia quella che costeggia il fiume Uso e, in prossimità di Masrola, salire verso l’antico abitato di San Giovanni in Galilea, nel quale vi sono tracce della civiltà villanoviana e dell’epoca romana.
Questo pittoresco borgo è accogliente e piacevole ma, attorno al X secolo, fu oggetto di contese tra il Vescovo di Rimini, i Vescovi di Ravenna e l’Impero. Poi, nel 1186, venne assoggettato dai Malatesta, che lo controllarono sino alla morte dell’ultimo esponente della famiglia. L’evidenza di questo passaggio, è nella struttura del quattrocentesco castello malatestiano, in cui è allestito il Museo Renzi; nell’antico Castello di San Giovanni, fatto erigere da Sigismondo Pandolfo, del quale purtroppo restano scarsi reperti, ma da cui si gode di un panorama bellissimo sulla costa adriatica e sulla Valmarecchia; nella Pieve Nuova di San Giovanni, fatta edificare la prima volta da Pandolfo II Malatesta, a metà del XVI secolo, ingrandita da Sigismondo II… ma distrutta durante i combattimenti sulla Linea Gotica, nel corso del secondo conflitto mondiale.
Oggi possiamo ammirare la ricostruzione del dopoguerra.
Una volta terminata la passeggiata, vi consiglio di entrare nell’unico bar del piccolo centro, per gustare un bollente Caffettone di San Giovanni: ricetta segretissima, mi dicono i gestori ma, attenzione, perché la base è alcolica… Quindi, se dovete rimettervi alla guida (e ovviamente dovete!), potrete applicare la divisione degli assaggi, utilizzata da me e da mio marito: lui, pilota, caffè semplice; io, zavorrina, caffettone.
A dimostrazione che, anche la figura motociclistica meno apprezzata, la zavorrina appunto, può avere il meglio! Tiè…
Per il rientro verso casa, avete due possibilità. La più semplice, soprattutto se, alla fine, quel caffettone ve lo siete sorbito, è tornare da dove siete venuti. Triste, ma a volte capitano scelte impopolari.
La più panoramica, prevede di allungare notevolmente il percorso, seguendo le indicazioni per Sogliano al Rubicone, procedere quindi per Roncofreddo, proseguire verso le Felloniche, Montalbano, Canonica, fino a Santarcangelo di Romagna.
In ogni caso, tengo a fare una precisazione: cala il numero dei motociclisti che, per strada, saluta i propri simili. Ora, a meno che il caffettone non vi abbia annebbiato la visiera del casco, questa situazione è a dir poco paradossale e drammatica.
Per evitare di finire nella prossima puntata di “Quarto Grado”, suggerisco una soluzione immediata: IL SALUTO, CARI CENTAURI, E’ D’OBBLIGO!
Claudia Barbieri da, www.vocedelverbopartire.blogspot.com